Il 9 maggio 1997, all’interno della città universitaria di Roma, qualcuno spara a una studentessa di 22 anni, Marta Russo. “Il delitto della Sapienza”, come viene ribattezzato dalla stampa, diventa fin da subito un caso mediatico senza precedenti e conquista l’attenzione dell’opinione pubblica per i misteri e la complessità che caratterizzano le indagini.
Dopo più di un mese dalla morte di Marta Russo, vengono arrestati due assistenti di Filosofia del diritto, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Per l’accusa hanno sparato per compiere il delitto perfetto, per dimostrare di essere al di sopra del bene e del male e di poter uccidere senza essere scoperti.
Ventitré anni dopo Chiara Lalli e Cecilia Sala sono tornate a quella mattina di maggio del 1997, hanno percorso gli stessi luoghi e parlato con i protagonisti dell’epoca compiendo un’indagine giornalistica che rimette in discussione il caso, le modalità investigative e quelle processuali. Il frutto del loro meticoloso lavoro investigativo è Polvere – Il caso Marta Russo.
Attraverso lo studio degli atti processuali, interviste inedite e il recupero delle intercettazioni telefoniche dell’epoca, Chiara Lalli e Cecilia Sala portano alla luce un elemento fondamentale: i due furono accusati sulla base di una particella di polvere da sparo trovata sul davanzale dell’aula 6 e ritenuta “esclusiva”, ovvero riportabile solo a un colpo da arma da fuoco. Quel minuscolo granello di polvere è diventato così l’elemento chiave che ha innescato la serie di eventi che hanno portato alla condanna per omicidio di Scattone e Ferraro. Ma quella particella non è un sicuro residuo di polvere da sparo, potrebbe essere il residuo dei freni di una Panda o di una fotocopiatrice.
Un errore giudiziario non comporta solo la condanna di un innocente, ma la rinuncia alla scoperta del responsabile. E se Scattone e Ferraro sono innocenti, la ricerca del vero assassino di Marta Russo deve ancora cominciare.